Ma le domande non sono solo questa. Esiste una qualche disciplina internazionale in grado di offrire maggiori garanzie rispetto alle normative nazionali? Che differenze si possono riscontrare tra le soluzioni prospettate? Quale, tra di esse, risulta più vantaggiosa per il contraente italiano? Quali sono gli aspetti specifici del contratto di vendita internazionale che possono presentare le maggiori difficoltà per le parti, o che possono rappresentare un pericolo in caso di contestazioni e/o di controversie? Le risposte a questi, come ad altri quesiti, devono essere ricercate nelle norme e nelle convenzioni internazionali che disciplinano la materia e devono essere ricavate da un'analisi comparata di esse. Solo dopo aver verificato ed approfondito i diversi testi legislativi e la giurisprudenza esistente è possibile, infatti, elaborare soluzioni adeguate alle necessità delle parti. Come viene affrontato, ad esempio, nelle varie normative, il tema centrale delle garanzie del venditore o quello relativo agli obblighi previsti a carico dell'esportatore rispetto alla merce venduta? Esistono, nei diversi testi di legge, delle specifiche previsioni che consentono al venditore di inserire nel contratto delle clausole che limitino o addirittura escludano la sua responsabilità? È possibile prevedere nel testo contrattuale un obbligo, a carico del compratore, di tempestiva contestazione degli eventuali difetti riscontrati nella merce ricevuta, a pena di nullità? La Convenzione di Vienna regola, in particolare, gli obblighi del venditore con riferimento alla consegna di merce esente da difetti e prevede, altresì, l'obbligo, sempre per il venditore, di garantire che la merce trasferita sia esente da diritti o pretese di terzi. La normativa americana in tema di garanzie, distingue tra garanzie implicite e garanzie espresse e prevede sostanzialmente l'obbligo della forma scritta per tutti i contratti di vendita, il cui valore commerciale superi i $500. Il codice civile, da parte sua, disciplina le garanzie per vizi e per mancanza di qualità promesse ed essenziali e le garanzie contro l'evizione. Sostanzialmente, le tre normative in oggetto non si discostano di molto le une dalle altre. Importanti differenze si riscontrano, invece, quando si affronta, ad esempio, la disciplina prevista in tema di " limitazione od esclusione della responsabilità del venditore", a seconda che si applichi la Convenzione di Vienna o la normativa americana. Altrettanto complessa è la questione legata al diritto del compratore di contestare la merce ricevuta. Mentre il codice civile italiano stabilisce, infatti, un termine di otto giorni per l'eventuale contestazione di difetti di conformità della merce acquistata, la Convenzione di Vienna e la legge americana, che disciplina la materia, prevedono semplicemente un "termine ragionevole" entro cui il compratore è autorizzato a contestare la merce. Pur dovendo riconoscere come tale criterio sia un criterio necessariamente soggettivo, la cui interpretazione debba, cioè, tener conto delle circostanze del caso concreto, tuttavia, si riscontra una diversa tendenza nella giurisprudenza dei tribunali che applicano la Convenzione rispetto a quelli che, invece, si attengono alla legge statunitense. Una differenza che deriva da un lato, dall'obbligo espresso, contenuto nella Convenzione, di esaminare la merce acquistata nel più breve tempo possibile e dall'altro, di contestare gli eventuali difetti in maniera specifica ed esauriente. Anche il diritto del compratore di risolvere il contratto di vendita e di ottenere, di conseguenza, il rimborso del prezzo ed il risarcimento di eventuali danni, risulta disciplinato in maniera diversa dalla normativa americana rispetto alla Convenzione di Vienna. Occorrerà, pertanto, verificare, anche in questo caso, quale delle due discipline risulti più vantaggiosa per il venditore italiano. Un altro aspetto che molto spesso si rivela delicato per l'esportatore italiano che venda le proprie merci all'estero, riguarda il rischio legato alla eventuale perdita o deterioramento delle stesse durante il loro trasporto. A questo proposito, può risultare determinante per il venditore riuscire a stabilire con certezza il momento in cui tale rischio si trasferisca al compratore. La legge americana distingue in proposito due diverse figure contrattuali: la prima, in cui l'esportatore si assume l'obbligo di spedire la merce all'acquirente e la seconda, in cui l' obbligo a carico dell'esportatore consiste nel consegnare la merce all'acquirente in un luogo specifico espressamente stabilito dalle parti. Nel primo caso, il rischio legato alla perdita o al deterioramento della merce si trasferisce all'acquirente nel momento in cui la merce viene consegnata al vettore. Nel secondo caso, invece, il rischio di perdita o depauperamento della merce rimane a carico del venditore sino al momento in cui non avviene la consegna della stessa nel luogo prestabilito. Ai sensi della Convenzione di Vienna, il rischio passa all'acquirente nel momento in cui la merce viene consegnata al vettore, salvo che le parti non abbiano previsto l'ulteriore obbligo a carico del venditore di consegnare la merce in un luogo specifico, nel qual caso, quest'ultimo è responsabile sino a quando la merce non venga effettivamente consegnata nel luogo indicato. A questo proposto è utile sottolineare come nella pratica commerciale le parti si avvalgano spesso, nel disciplinare i loro rapporti, dei c.d. "termini di resa" (fob, cif, ex works ed altri), attraverso i quali venditore ed acquirente provvedono a regolare alcuni aspetti specifici della vendita, quali, ad esempio, la ripartizione degli oneri legati al trasporto e alla assicurazione della merce, ed altri. Sebbene tali termini siano universalmente riconosciuti con il nome di "Incoterms", tuttavia, analoghe clausole risultano presenti anche nella normativa americana che regolamenta la vendita commerciale. Non sempre, però, il significato attribuito dalla normativa americana a tali clausole è lo stesso di quello previsto negli Incoterms. È estremamente importante, allora, per il venditore italiano verificare in anticipo il significato ed il contenuto delle singole clausole da inserire nel contratto di vendita con la controparte statunitense, onde evitare pericolose sorprese. In caso di ritardo o mancato pagamento della merce venduta, quale tasso di interesse deve essere applicato? Come deve essere calcolato? Quali sono i diritti del venditore? In caso di giudizio, a chi spettano le spese legali? La Convenzione di Vienna stabilisce, in proposito, il diritto del venditore ad ottenere il versamento degli interessi per il caso di ritardo nel pagamento della merce venduta, ma non fornisce alcun criterio per stabilirne l'ammontare. Anche in questo caso, occorre far riferimento alla giurisprudenza esistente per avere una risposta in merito. Negli Stati Uniti, la materia rientra, invece, nella competenza dei singoli Stati, che stabiliscono, caso per caso, l'ammontare degli interessi maturati a carico della parte. Quanto al rimborso delle eventuali spese legali, la differenza tra la disciplina italiana e quella statunitense in materia è sostanziale. Mentre in Italia vige il principio generale secondo cui la parte soccombente in giudizio è tenuta a sostenere le spese legali e di giudizio, negli USA ciascuna parte è responsabile per le proprie spese, salvi casi limitati. Si consiglia, quindi all'esportatore italiano di tutelarsi al riguardo, prevedendo un'apposita clausola contrattuale che disciplini espressamente tale aspetto. Ulteriori differenze normative relative alla disciplina del contratto di vendita tra Italia e Stati Uniti sono riscontrabili in tema di prescrizione, cioè del periodo di tempo entro il quale la legge consente alle parti di agire in giudizio per far valere i propri diritti. La materia, che in Italia è regolata dal codice civile, negli Stati Uniti è espressamente disciplinata dallo U.C.C., che prevede al riguardo, un termine generale di quattro anni per promuovere l' azione legale. Le parti sono, tuttavia, libere di prevedere nel proprio contratto un termine inferiore, che non può comunque risultare inferiore ad un anno. La Convenzione di Vienna, dal canto suo, non prevede alcun termine di prescrizione specifico, salvo alcuni casi particolari quali, ad esempio, quando si tratti di contestare il difetto di conformità della merce acquistata.
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